Oggi parlerò di treni
che da un po’
non vengono più presi
Che anche un tempo
se aguzzi la mente
partivano vuoti
visti dai più
di timore e timidezza
un distillato malriuscito
che bevuto soli
lascia alle spalle
tanta ubriaca povertà
Oggi parlerò di treni
che da un po’
non vengono più presi
Che anche un tempo
se aguzzi la mente
partivano vuoti
visti dai più
di timore e timidezza
un distillato malriuscito
che bevuto soli
lascia alle spalle
tanta ubriaca povertà
Quattro punti
non bastano
per le direzioni
della mia mappa
tra uno e l’altro
un sorriso e un baratro
un’idea e l’immobilità
la musica ed il silenzio
E così
se i cardinali arrancano
la bussola
trasformo in roulette
con un sabotaggio
che provo a sabotare
con un caffè
sperando
che anche alla bussola
piaccia l’aroma.
Stellata la deriva.
Intervallata da sonni
durante risvegli indesiderati
da cordoni ombelicali tagliati.
Trascinamento coatto,
lento.
La Barca ruota attorno a lei,
senza bussola.
E se la terra fosse piatta
allungherei lo sguardo
cercando
la fine del mare.
Credo proprio sarai felice.
Attorno a te
note floreali
prima della tua prima
foto
densa di impegno,
altruismo
e amore.
Oggi lo stupore,
di norma
dall’egoismo sopraffatto,
più che mai convinto
mi commuove.
Sarete felici,
ne son certo.
Perché il prolungamento
di un’aura vitale
accresce il tepore
illuminando il cammino.
Del cuore della notte
la finestra delimita il ritratto.
Stelle sfrigolano,
un lampione riflesso
distorto dagli aloni del vetro.
Ipnotizzato dalla luce
un meccanismo s’aziona,
la testa Juke box
mette una canzone del Boss.
Scorre il passato
alla coltivazione
di passioni adottive
diventate vino bianco.
Prima,
deliziatore di sommelier;
col tempo,
nelle tue ricette
sfumato.
Ancora in testa
le parole appena scritte
anagrammate si rimescolano.
La fantascientifica voce
della tua rabbia
con calma placida
di Fedro cita un monito.
“La Rana e il Bue”
Tu e l’uomo.
Repentinamente,
ventiquattr’ore diventano un secondo,
come un cane scuote il pelo
dal peso dell’acqua.
Tonnellate di rifiuti
scaraventi nell’universo.
Guardare e non toccare….
Condanna al rimpianto
di aver perso
un grande amore.
Tutto nasce così,
tutto muore così.
Una partenza con qualche passo di avvio
che metta a proprio agio.
Overture alla rincorsa perfetta,
trampolino di lancio
proteso verso lo stacco.
Le scommesse sono aperte;
Il piede convoglia l’energia cinetica,
sull’asse lampeggia la scritta “welcome”.
l’All-in unica puntata possibile,
non resta che vedere il volo.
Quel che è fatto è fatto,
d’ora in poi regna l’equilibrio
le azioni precedenti esplodono
come mine al rellenty,
all’atterraggio
pronte ad abbracciarti.
Fuori uno e dentro un altro.
In questo tritatutto
vogliamo piacere e piacerci piacendo
spacciamo onestà pretendendo verità.
Roteando vorticosamente ci fingiamo lucidi
tutti d’un pezzo
tenuti assieme da quintali di aspettative.
Sbronzo stai andando dritto
sotto i baffi un sorriso beffardo
sicuro di sé….
Il gendarme ride
prendendo un monociclo
ed una fune.
Guarda che bel mosaico
ogni tassello col vostro nome.
Non puoi sentire lontano un tuo braccio
una tua gamba.
Un pezzettino di ognuno ho rubato
Non lo restituirò
Lo userò ora e domani
Ovunque sarò
confortevolmente circondato
Non puoi sentire lontano una parte di te
un ricordo indelebile
Il tuo cuore.
Rannicchiato in una botte di rovere,
in equilibrio su uno spillo.
Dentro, un sacco di aquiloni
Fuori, un gran vento.
Mondo sferruzzato da lillipuziani,
ti fai vestire a stento.
E le viscere premono,
e i muscoli stridono.
Piccole Infiltrazioni infeltriscono la botte.
Riapri la cassetta degli attrezzi
per costruire e per demolire.